sabato 4 dicembre 2010

cambiamento

lunedì 1 giugno 2009

CAMBIARE

Di Antonella Randazzo




Tutti sanno che avere una giusta informazione è un diritto fondamentale.
Infatti, avere la possibilità di consultare più fonti informative indipendenti dovrebbe servire a formare un’opinione libera, in quanto frutto non di manipolazioni ma di un’indipendente riflessione e autonome considerazioni.

Perché il gruppo egemone teme così tanto il formarsi di una libera opinione, a tal punto da pagare cifre astronomiche per impedirlo?
Il problema fondamentale consiste nella possibilità di cambiamento. Utilizzare le proprie risorse per emettere un giudizio o per valutare fatti e persone, significa anche acquisire fiducia nelle proprie potenzialità, credendo che si possa (o si debba) trovare in se stessi un punto di riferimento, nelle proprie esperienze, nei propri pensieri, o anche nelle proprie intuizioni.
Al contrario, un sistema oppressivo ci vuole completamente dipendenti dall’esterno, inclini a credere a Tizio o a Caio, piuttosto che utilizzare autonomamente le nostre capacità di pensiero.

Perché è ritenuto così pericoloso pensare con la propria testa?
Perché se si crede in se stessi si può cambiare.
La parola “cambiamento” ci piace: la associamo alla freschezza del nuovo. Per questo viene usata o strumentalizzata spesso in politica e nella pubblicità: il prodotto pubblicizzato è sempre “nuovo”, e i candidati politici si propongono come “facce nuove” o dicono di voler cambiare le cose.

Cambiare significa crescere, evolversi, non rimanere in una situazione stagnante ma essere capaci di affrontare paure, insicurezze, vincere blocchi, diventare più liberi.
Quando la vita rimane statica si produce sofferenza, si può andare in depressione o ci accadono cose spiacevoli che potrebbero scrollarci dal torpore, indurci a conoscerci meglio, per capirci di più e modificare quello che produce disagio.

Cambiare però non è semplice. Diventare veramente autonomi può significare affrontare le problematiche più profonde di se stessi, quelle che sono collegate alle emozioni, che a loro volta sono collegate ai vissuti originari della nostra esistenza, quelli di cui non abbiamo ricordo o ne abbiamo un vago ricordo.

Nel profondo di noi stessi cambiare significa ammettere che c’è qualcosa che non va, qualcosa da affrontare.
Ci piace pensare di essere perfetti o quasi, e che quando un rapporto non va significa che c’è qualcosa di sbagliato nell'altro, mai in noi.
Per cambiare, dunque, il primo scoglio da superare è il nostro narcisismo, che ci fa vedere bene i difetti degli altri, ma assai meno bene i nostri.

Pensare di dover cambiare non significa non accettarsi ma, al contrario, significa vedersi come un’energia sempre in movimento, in cammino verso una maggiore realizzazione. Una maggiore capacità di esprimersi e di fare esperienza deriva proprio dal vedersi in una condizione non statica ma dinamica.
Paradossalmente, più ci si accetta e ci si ama e più si è disposti a cambiare.

Perché crescere è così difficile? Tutti vorremmo evitare di ristagnare nelle nostre nevrosi, ma molti di noi lo fanno.
Per crescere bisogna superare paure: paura di non farcela, di scoprire cose spiacevoli o di soffrire.
Il sistema attuale si regge sulla paura, e dunque ha interesse a che le persone rimangano statiche, bloccate nella paura, e che di conseguenza sviluppino nevrosi o altre malattie. In molti modi viene potenziato un eterno infantilismo, che non è avere la purezza e la vitalità di un bimbo, ma avere paura di crescere, di far maturare la propria emotività.

E’ più facile asservire persone attanagliate dalla paura, che non credono in se stesse e che cercano appoggi esterni.

Crescere è difficile perché toccare la vita affettiva ed emotiva provoca un “movimento” che può fare emergere sofferenze, portando a galla contenuti a cui abbiamo associato disagio, rifiuto o dolore.
Crescere significa elaborare e fare esperienza nel rapporto con noi stessi, con la realtà e con gli altri.
Per crescere occorre essere attivi, volerlo. In caso contrario si rimane sempre uguali, e nella mancata elaborazione dell’esperienza si può accumulare rancore, rabbia e frustrazione, che condizioneranno negativamente le esperienze future.
Alcuni, piuttosto che cambiare preferiscono farsi del male, e farne anche agli altri.

Per cambiare bisogna amarsi a tal punto che ci si vuole fare del bene, oltrepassando quelle tragiche ideologie coercitive che ci hanno inculcato sin da piccoli. Ci hanno detto di non valere granché e di essere dunque costretti a seguire autorità a noi esterne, che talvolta hanno confuso in noi l’amore con il pietismo, l’altruismo con l’opportunismo, il legame affettivo con l’aggancio emotivo immaturo.
Come sostiene lo psicoanalista Sturmius Wittschier: “Un essere umano che fa valere i suoi diritti… attribuisce valore a se stesso… si pone come un vaccino contro la costrizione dell’amore verso il prossimo: un vero e proprio amarsi”.
Se non si è capaci di amare se stessi non si può nemmeno essere capaci di amare gli altri, rispettando la loro crescita e sapendo evitare di creare rapporti emotivi non costruttivi.

Crescere esige il provare una certa sofferenza – per il distacco dal vecchio, o per l’elaborazione del vecchio vissuto – non si tratta di sacrifici o sofferenze gratuite, ma di un passaggio che sfocerà nella gioia di essere migliori, di avercela fatta. La vita non deve essere per forza dolore e privazione, come ci insegnano le religioni. Se si utilizzano le risorse interiori per crescere e si fanno esperienze per esprimere le proprie potenzialità non possono mancare momenti di gioia.

La giusta sofferenza è passeggera e ci induce ad essere migliori. Si tratta della sofferenza di vedere aspetti di noi che non ci piacciono, o di accorgerci che il mondo non è come vorremmo. E’ anche la sofferenza, accompagnata da una profonda compassione, dovuta al vivere su un pianeta in cui la maggior parte delle persone vive in miseria o muore di fame. In cui molti vivono in stato di guerra e vedono il proprio paese distrutto e i propri cari morire. Questa sofferenza ci avvicina ai nostri simili, creando una vicinanza fra popoli di cui il mondo di oggi ha tremendamente bisogno.
Essere sensibili alla sofferenza altrui ci rende più disponibili a fare qualcosa, nel nostro piccolo, per rendere la realtà migliore.

La nostra esistenza è un unicum “interno-esterno” e dunque quello che mostriamo all’esterno è quello che emotivamente siamo all’interno, e quello che viviamo dentro di noi può derivare da quello che attingiamo dall’esterno.
Ad esempio, una persona che ha vissuto in un ambiente in cui si provava soggezione verso l’autorità, se non affronta i contenuti relativi a questo modo di essere, sarà restìo ad accettare alcune cose negative legate a personaggi di potere. Per questo motivo potrà diventare servo del potere. Dunque, questa persona sarà incline a credere alla propaganda, anche quando sarà di fronte a prove inoppugnabili che la smentiscono.

Più facciamo maturare la nostra vita emotiva e più probabilità abbiamo di sfuggire al condizionamento del sistema. Più cresciamo interiormente e più diventiamo capaci di capire la realtà e di migliorarla.
Per questo il sistema di potere attuale desidera vederci in balìa delle nostre stesse emozioni negative, stimolando la paura e il senso di insicurezza per indurci alla sottomissione.

Dunque, il nostro livello di crescita emotiva incide notevolmente su ciò che critichiamo, che ignoriamo o che riteniamo importante.
Tutti abbiamo ricevuto condizionamenti al fine di adattarci alla realtà, e uscire da questi condizionamenti vuol dire lavorare sulle nostre emozioni.

Crescere emotivamente significa anche essere capaci di voltare pagina. Cambiare spesso richiede il “perdere”, è un po’ come morire, perché parti di noi se ne vanno, a volte portandosi dietro persone, situazioni o cose.

Essere morbosamente attaccati a persone o cose talvolta significa avere molta paura del cambiamento. Ci sono persone che hanno rapporti sociali non costruttivi, stagnanti, che nascondono un certo livello di sofferenza.
Nessuno deve rimanere per forza emotivamente legato a qualcun altro. Diventare emotivamente maturi significa anche poter sceglie rapporti che migliorano la vita, che sentiamo positivi. Significa non essere schiavi dell’illusione infantile che ci fa credere che bisogna tenere in piedi rapporti anche quando c’è un alto grado di sofferenza o distruttività.

Crescere significa avere il coraggio di allontanarsi da situazioni o da persone che non sono più positive per noi. Il cui rapporto originariamente costruttivo si è esaurito o in cui è l’illusione ad avere la meglio.
L’illusione di credere che le cose debbano rimanere sempre uguali, che tradisce la paura del cambiamento.
Mantenere rapporti stagnanti o addirittura distruttivi significa temere che la perdita di quel rapporto possa riportarci ad una parte di noi che non vogliamo vedere. A volte si razionalizza: si dice che quella persona è “speciale” per noi, o che dopo tanto tempo non è facile interrompere un rapporto. Razionalizzando si vuol continuare a vivere in una situazione non più costruttiva, in cui è ormai alto il livello di incomprensione o di reciproco rigetto. Nel profondo di noi stessi vorremmo rimanere bambini, e come i bambini vivere in una improbabile simbiosi con gli altri. Non vogliamo che nel tempo quel determinato rapporto si dimostri diverso da come lo credevamo, e per questo razionalizziamo, pensando che i legami emotivi debbano per forza restare sempre uguali. Ma quando il legame fra le persone diventa una sorta di “aggancio” emotivo dovuto alla paura di cambiare ci troviamo di fronte ad una situazione che può produrre sofferenza, anche in forma di illusione o idealizzazione. E prima o poi l’illusione è destinata a diventare delusione.



Dunque, cambiare significa crescere, e crescere significa “movimento”, che è il contrario della pigrizia.
Pigrizia a volte è sinonimo di egoismo: razionalizzando crediamo di essere indispensabili all’altro, non vedendo che se offriamo un rapporto di “aggancio emotivo” l’altro rimane incagliato e non si può evolvere come potrebbe se lo lasciassimo andare.
Movimento significa avere rapporti sociali “vivi”, in cui c’è comunicazione emotiva e cognitiva.
Per crescere è necessario rinunciare al narcisismo e al desiderio di simbiosi originari. Essere narcisisti significa anche pensare di non aver bisogno di alcun cambiamento, come se l’esistenza umana dovesse essere statica.

Si tratta di un falso amore per se stessi, che nasconde la paura di essere incapaci di accettarsi a tal punto da viversi in modo dinamico.
Cercare simbiosi significa temere di non essere capaci di stabilire un vero rapporto con l’altro, chiedendo dunque una conferma nell’aggancio emotivo morboso o privo di un vero e proprio dialogo emotivo-affettivo.

Appare romantico pensare che il legame con le persone possa rimanere sempre uguale anche se passano molti anni, come se nulla cambiasse veramente. Le persone che vivono rapporti in modo simbiotico di solito credono di viverli in modo profondo, più degli altri, e che i rapporti debbano rimanere sempre uguali. In realtà esse non hanno ancora affrontato le sofferenze del distacco dall’oggetto affettivo originario, di solito perché hanno vissuto un rapporto col materno eccessivamente frustrante oppure morboso.
Molte di queste persone credono di avere moltissimi rapporti di amicizia, non sapendo distinguere fra la vera amicizia (rara) e i rapporti emotivi “di aggancio” che possono crearsi fra le persone.
L’amicizia vera e propria richiede, oltre al legame affettivo, reciproca conoscenza, reciproco sostegno e un alto livello di comunicazione e comprensione. I legami emotivi, invece, possono stabilirsi anche fra persone assai diverse per età o per caratteristiche di personalità. In questi rapporti potrebbe non crearsi un alto livello di comunicazione e di reciproca comprensione.
Paradossalmente, alcune coppie si sentono legate ma non comunicano, non si comprendono. Possono litigare per motivi sciocchi, e desiderare un partner diverso. Ma in alcuni momenti possono grogiolarsi nell’”unicità” del loro rapporto, scambiando il vecchio desiderio di simbiosi emotiva con un desiderio di vero rapporto. E’ come se confondessero l’illusione con la realtà, e considerassero l’illusione al di sopra della “banale” realtà. Ma se si rimane allo stadio dell’infantile illusione simbiotica e narcisistica non si potrà giungere allo stadio in cui le proprie emozioni saranno scandagliate al fine di renderle più mature, mettendo alla prova anche i nostri rapporti umani.
Molte persone rimangono allo stadio narcisistico e simbiotico ritenendo troppo arduo andare oltre, e razionalizzando la loro scelta. Ma se si rinuncia alla crescita si rinuncia anche ad avere potere sulla propria esistenza, e si diventerà inclini a vedere all’esterno la forza propulsiva degli eventi. Si sarà indotti a credere che l'esistenza possa essere determinata da eventi creati da altri o da forze non controllabili.

Il sistema attuale, anche attraverso le teorie scientifiche, ci inculca l’idea di essere incapaci di autodeterminarci e di essere vittime della realtà esterna, incapaci di vivere liberamente sulla base di ciò che desideriamo. L’idea che l’uomo sia impotente verso la realtà esterna, intesa come destino o come forze a lui superiori, è molto antica, ed è stata riproposta in tempi moderni attraverso diverse filosofie, teorie scientifiche e religioni.
Le religioni ufficiali ci educano ad abbracciare un Dio a noi esterno, che esige sacrificio e obbedienza, e dunque tiene l’uomo sottomesso al suo potere. E’ implicita l’idea di non poter fare ciò che si vuole, di non poter essere liberi, dovendo sottostare ad un’autorità esterna che guiderà verso la “salvezza”.

Secondo molti autori sono le nostre emozioni a creare la realtà.
Negli ultimi anni molti autorevoli studiosi ci dicono che la nostra realtà è nelle nostre stesse mani e credere diversamente significa rinunciare al potere sulla propria esistenza.
Alcuni studiosi, come Joseph Dispenza, Gregg Braden e Nader Butto, sono convinti che quello che esiste e che vediamo, ovvero la materia, è “pensiero condensato”. In altre parole, esisterebbe uno stretto legame fra pensiero e materia, e non sarebbe la materia a determinare il pensiero, ma viceversa. Più alta è la vibrazione della materia e più essa è modificabile dal pensiero.
La realtà sarebbe creata dal pensiero, e dunque cambiando il pensiero può essere cambiata anche la realtà.
Una vibrazione bassa del pensiero umano, dominata, ad esempio, dalla paura e dall’ansia, produce una realtà di problemi materiali e spirituali, mentre una vibrazione alta, in cui domina l’amore, crea una realtà di armonia e di benessere.
La vibrazione più alta è quella dovuta all’energia detta “amore”, ovvero un’energia pura, prodotta dal cuore, che può incidere sulla materia. Le emozioni di paura e di insicurezza sarebbero dovute ad un blocco dell’energia dell’amore.
Ci sarebbe dunque energia bloccata o squilibrata, creata dalle emozioni spiacevoli, che produce malattie o altri problemi, mentre l’energia equilibrata, creata dalle emozioni positive, determinerebbe salute, fiducia e azione efficace.
Dunque, non sarebbe vero quello che la Scienza ufficiale ci induce a credere, ossia che la realtà psicologica o di pensiero non possa creare la realtà esterna e che i singoli esseri umani sarebbero impotenti di fronte agli eventi esterni.

Lo studioso Gregg Braden, durante la conferenza titolata “Matrix divina”, spiega come le emozioni modificano la realtà e come il DNA determina effetti sulla realtà esterna: “E’ la nostra ricerca, è l’atto del cuore e della mente umana che osservano l’universo aspettandosi di vedere qualche cosa, e questo crea qualche cosa che alla fine vedremo. E’ la nostra azione di guardare con l’aspettativa che ci sia qualcosa, è questo l’atto di creazione di per sé stesso… guardare con l’aspettativa che esista qualche cosa, è quello che crea quel qualche cosa che vi aspettate… la… coscienza… crea il nostro universo fisico”.(1)

Secondo Braden, le emozioni umane cambiano il DNA, che a sua volta può cambiare la realtà.
Già Max Planck aveva dichiarato che non esiste il concetto di “materia” tipico della cultura occidentale, poiché la realtà è determinata da un flusso non “corporeo”, ovvero energia che fluisce attraverso la coscienza.
Secondo Plack esiste un campo universale da lui chiamato “Matrix divina”. La Matrice divina, detta anche “Ologramma quantistico” sarebbe un campo che riflette quello che viene creato all’interno. Come in un ologramma, ogni piccola parte rispecchia il tutto.
L’atomo quantistico è costituito da energia, che può essere modificata. Se viene modificato il campo magnetico o il campo elettrico, anche l’atomo viene modificato. L’organo che produce un campo elettrico più forte è il cuore, e dunque sulla base di ciò che il cuore sente, le emozioni e i sentimenti, possono prodursi effetti sul corpo e sulla realtà esterna.

Secondo il neurofisiologo e ricercatore Joseph Dispenza, le emozioni producono “un’impronta chimica” (neuropeptide) prodotta dall’ipotalamo che la trasmette all’ipofisi, che la immette nel gruppo sanguigno, che a sua volta la trasmette alla cellule. Dunque, le emozioni negative, la rabbia, l’avidità o l’invidia, possono favorire le malattie.
Osserva Dispenza:
“Chi guida quando controlliamo, rispondiamo alle emozioni? Fisiologicamente, le cellule nervose si connettono scaricando tra loro. E se si pratica ripetutamente uno stesso pensiero, le cellule nervose stabiliscono tra loro delle solide relazioni a lungo termine. Se ti lamenti quotidianamente, se soffri quotidianamente, dai corpo alla vittimizzazione nella tua vita. I pensieri fissi stabiliscono solide relazioni tra cellule nervose e danno corpo a ciò che viene chiamato ‘identità della persona’. Se interrompiamo consapevolmente certi pensieri consentiamo alle cellule nervose di interrompere le relazioni precedentemente instaurate ed ovviare alla conseguente risposta chimica del corpo. Più rigorosamente lo faremo, più rapida e definitiva sarà la disconnessione. Se proviamo ad interrompere dei processi di pensiero e non badiamo agli stimoli esterni ma soltanto agli effetti che tale pratica produce, potremo essere consapevoli che l’ambiente si adeguerà automaticamente alla nuova realtà… C’è una parte del cervello che si chiama ipotalamo ed è come una piccola fabbrica. E’ un luogo dove vengono assemblate le sostanze chimiche che danno vita alle emozioni che sperimentiamo. Tali sostanze sono delle proteine dette peptidi. Sono piccole sequenze di amminoacidi. Fondamentalmente il corpo è una unità di carbonio che si struttura fisicamente fabbricando 20 diversi amminoacidi. Il corpo produce proteine e l’ipotalamo ne elabora alcune sequenze, chiamate neuropeptidi o neuroormoni, che producono gli stati emozionali. Così ci sono sostanze chimiche per il dispiacere e la tristezza e ci sono sostanze chimiche per la vittimizzazione. Ci sono sostanze chimiche per la lussuria e per ogni altro stato emozionale. Pertanto, se sperimentiamo uno stato emozionale è perché l’ipotalamo ha prodotto i corrispondenti peptidi e li ha liberati nel sangue grazie alla ghiandola pituitaria. Dopo esser stati immessi nel sangue, raggiungono le varie parti del corpo reagendo con le cellule per mezzo dei recettori esterni… Sulla superficie della cellula i recettori sono soggetti alla ricezione di moltissime informazioni”.(2)

Un recettore che contiene un peptide apporta modifiche alla cellula, attivando una serie di processi biochimici che possono cambiare il nucleo stesso della cellula.
La cellula è considerata da molti studiosi come una minuscola unità di coscienza, la più piccola. Noi siamo fatti di emozioni e il nostro organismo è condizionato da esse. Tutte le cellule sono influenzate dai peptidi delle emozioni e se sono alimentate le emozioni negative troppo intense, di disagio, sofferenza o blocco, l’organismo ne può risentire e per reazione può produrre sintomi somatici. La cellula riceve i segnali dal cervello, e se i recettori di emozioni vengono sommersi da intensità troppo elevate a lungo andare possono degradarsi o distruggersi.
Dispenza ritiene che anche la salute fisica dipende da noi stessi, da come gestiamo la vita emotiva:

“Io creo la mia realtà: mi sveglio e creo coscientemente la mia giornata nel modo in cui voglio che accada. Ora, spesso, poiché la mia mente esamina tutte le cose che devo fare, ci vuole un po’ di tempo affinché si rilassi e arrivi al punto dove intenzionalmente io creo la mia giornata. Ma qui è il punto. Quando creo la mia giornata cominciano ad accadere, come dal nulla, piccole cose che sembrano inspiegabili. So che sono la conseguenza del processo o il risultato della mia creazione. Più faccio questo, e più costruisco nel mio cervello una rete neuronale che mi fa accettare che ciò è possibile. Mi dà il potere e l’incentivo di farlo anche il giorno dopo. Dobbiamo formulare ciò che vogliamo, ed esserne talmente centrati, talmente focalizzati, e talmente consapevoli da perdere persino il senso di noi stessi, il senso del tempo, il senso della nostra identità. Nel momento in cui diveniamo così coinvolti nell’esperienza, da perdere il senso di noi stessi e del tempo, questa diventa la sola immagine reale. Chiunque ha avuto l’esperienza di gestire la propria mente per raggiungere ciò che si desidera. Questa è la Fisica Quantistica in azione. Questo è manifestare la realtà… Siamo delle macchine produttrici di realtà. Attiriamo a noi stessi situazioni che appagheranno le voglie biochimiche delle nostre cellule corporee… Noi creiamo continuamente gli effetti della realtà”.(3)

Non si tratterebbe però di un percorso esclusivamente intellettuale. Ad esempio, secondo molti studiosi nel momento della meditazione avvengono importanti processi, che permettono di “percepire” la realtà come un “tutto” e di produrre effetti psico-fisici.
Chi pratica di frequente la meditazione può raggiungere l’obiettivo di avere un controllo cosciente sulle funzioni mentali e sul suo organismo, alzando la qualità della sua vita.

La meditazione non sarebbe una pratica “esoterica” o mistica priva di effetti concreti, al contrario, essa può dare una maggiore consapevolezza di se stessi e della realtà e fa emergere che l’essere umano non è soltanto il suo corpo o la sua mente, ma molto di più.
Negli ultimi decenni anche il settore scientifico ha appuntato l’attenzione proprio sulle pratiche di meditazione. Nel 1976 lo psicologo Daniel Goleman pubblicò i risultati di diverse ricerche sugli effetti benefici della meditazione, e nel 1984 la meditazione fu persino raccomandata dall’Istituto Nazionale della Salute Statunitense come trattamento terapeutico all’ipertensione leggera. Oggi molti specialisti del settore psicologico la consigliano per attenuare l’ansia e per migliorare la salute.
Secondo lo psicoterapeuta Gianpaolo Buzzi la meditazione è molto utile sia per il corpo che per la mente: “La maggior parte delle persone di cui mi occupo come medico agisce inconsapevolmente, senza essere cioè consapevole del pensiero che sta dietro all’azione, con effetti devastanti, che impediscono il rapporto sociale: tuttavia modificando il pensiero si modifica anche il proprio modo di agire… La meditazione mi aiutava nello sport: mi serviva a concentrarmi e ad aumentare la mia energia. In seguito ho studiato le diverse tradizioni spirituali e terapeutiche (come la medicina tradizionale cinese) e l’antropologia, che mi hanno aperto orizzonti diversi, aiutandomi a comprendere il malato e la malattia, che non può essere legata a un concetto univoco… In effetti la condizione normale fisiologica della mente è un fluire ininterrotto dei pensieri, che si susseguono come fotogrammi di un film. Chi invece si aggrappa a un pensiero ansiogeno o depressivo e lo blocca, impedendogli di fluire, di scaricarsi, diventa triste o ansioso… Dopo aver imparato a diventare l’osservatore segreto della propria mente, si inizia a concentrarsi su un’immagine specifica, come un ambiente sereno, che favorisce il rilassamento, o a meditare su un oggetto, come il respiro, un’immagine, un mantra, un simbolo, un’idea). Mentre nella prima fase (quella dell’osservazione dei pensieri) lo stato di coscienza non è molto diverso da quello della veglia, qui è come quello del training autogeno avanzato, l’ipnosi, la trance, in cui compaiono a nel cervello le onde alfa e theta”.(4)

Agli anni Settanta dello scorso secolo risalgono i primi studi scientifici sulle variazioni cerebrali e fisiologiche che si hanno durante la meditazione. Il fisiologo Robert Keith diresse il primo studio presso l’Università della California, a Los Angeles. Egli potè constatare che durante la meditazione si crea uno stato di profondo rilassamento, che attenua stress e ansia. La meditazione diminuisce il consumo di ossigeno e la frequenza cardiaca, e aumenta la resistenza della pelle. Questi risultati furono confermati da centinaia di studi successivi.
Spiega Buzzi:
“Da un punto di vista neurofisiologico, quando si medita c’è prima di tutto un’inversione della dominanza cerebrale. Di solito, in stato di veglia, noi utilizziamo l’emisfero sinistro, legato al pensiero logico, razionale, mentre quando si cambia stato di coscienza (come avviene durante la meditazione, il training autogeno avanzato, il rilassamento profondo, l’ipnosi) lavora quello destro, legato al pensiero irrazionale e all’intuizione. Ma soprattutto cambia il metabolismo cellulare: infatti vi è un minor consumo di ossigeno e di glucosio (e quindi di energia) da parte delle cellule cerebrali. Ancora, vi è una modificazione del sistema neuroendocrino: si abbassa il cortisolo (l’ormone dello stress) e l’adrenalina, anch’essa legata allo stress e aumenta il Dhea, l’ormone che favorisce il benessere. Inoltre nel sistema nervoso autonomo diventa prevalente l’attività parasimpatica. Queste variazioni influiscono determinano sul sistema neuroimmunitario: infatti, anche se i dati sono ancora discordanti, sembra che la meditazione aumenti le difese (i linfociti T-killer). Infine chi medita è meno suscettibiler alle infezioni delle vie respiratorie. Tuttavia dobbiamo prendere atto che siamo solo agli albori di una nuova era: la medicina i sta aprendo a nuovi orizzonti e dobbiamo continuare a studiare ed essere così umili da riconoscere che siamo solo agli albori di una nuova era”.(5)

Possiamo avere diversi stati di coscienza, che ci possono vedere rilassati, lucidi e più o meno coscienti. Ciò dipende dalla frequenza delle onde cerebrali.
Gli scienziati hanno individuato quattro fasce di onde cerebrali, che corrispondono a quattro bande di frequenza, a cui corrispondono diverse attività del cervello:
Le Onde delta sono quelle che producono sonno profondo, hanno una frequenza tra 0,1 e 3 Hz e sono associate al più profondo rilassamento psicofisico. Sono le onde della mente inconscia, del sonno senza sogni, dell'abbandono totale.
Le Onde theta producono sonnolenza e determinano il primo stadio del sonno. La loro frequenza è tra i 3 ed i 7 Hz e sono proprie della mente impegnata in attività di immaginazione, visualizzazione, ispirazione creativa. Producono il sogno ad occhi aperti, la fase REM del sonno (cioè, quando si sogna). Nelle attività di veglia le onde theta possono produrre conoscenza intuitiva e capacità immaginative. Sono dunque fonte di creatività e favoriscono l’apprendimento.
Le Onde alfa danno un rilassamento vigile, hanno una frequenza che varia da 7 a 13 Hz e creano uno stato di coscienza vigile e rilassato. Favoriscono l’introspezione e sono dominanti durante la meditazione.
Le Onde beta sono quelle dello stato di allerta e di concentrazione. Hanno una frequenza che varia da 13 a 30 Hz e sono associate alle normali attività di veglia.

Dunque, il pensiero e le emozioni produrrebbero effetti chimici ed elettromagnetici, che influiscono sulla realtà. Credere di non avere potere sulla realtà significa non averlo. Sarebbe proprio questo stato di impotenza la condizione di esistenza di un potere oppressivo, che si nutre di emozioni negative e produce sofferenza e povertà al solo scopo di continuare a sopravvivere. Per uscire da questo stato di oppressione basterebbe potenziare le “armi” del cuore, ovvero la capacità di credere nelle proprie potenzialità di evoluzione emotiva e cognitiva. Credere di poter cambiare se stessi, e cambiando se stessi cambiare il mondo.

lunedì 4 ottobre 2010

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lunedì 2 agosto 2010

10 mondi

Il concetto, noto come “i dieci mondi”, rappresenta uno dei modi in cui il Buddismo spiega la vita. Sono i dieci stati o condizioni vitali che si manifestano in tutti gli aspetti dell’esistenza. Ognuno li possiede potenzialmente tutti e dieci, e in ogni momento passiamo dall’uno all’altro. Questo vuol dire che in ogni momento uno dei dieci mondi viene manifestato, mentre gli altri nove rimangono latenti. Partendo dal più basso al più alto, essi sono:

Inferno. È la condizione di sofferenza e disperazione in cui abbiamo la percezione di non essere liberi di agire; è caratterizzata dall’impulso di distruggere noi stessi e tutto ciò che ci circonda.

Avidità. L’avidità è la condizione in cui ci sentiamo dominati da un insaziabile e incontrollabile desiderio di denaro, potere, posizione sociale o di qualunque altra cosa.

Animalità. In questo stato, siamo governati dall’istinto. Non abbiamo freni né la capacità di elaborare pensieri a lunga scadenza. Nel mondo dell’Animalità, si agisce secondo la legge della giungla, per così dire: senza esitare ad approfittare di quelli più deboli di noi e ad adulare quelli più forti.

Collera. In questo stato emerge la consapevolezza dell’io, ma è un io egoista, avido, stravolto, determinato a superare gli altri a tutti i costi e a considerare tutto come una potenziale minaccia per se stesso. In questo stato si tende a dare valore solo a noi stessi e tendiamo a disprezzare gli altri. Siamo fortemente attaccati all’idea della nostra stessa superiorità e non si ammette che qualcuno ci superi in qualcosa.

Umanità (definita anche Tranquillità). È una condizione vitale piatta dalla quale si scivola con facilità negli altri quattro mondi più bassi. Se in genere in questo stato ci comportiamo in modo umano, rimaniamo estremamente vulnerabili alle forti influenze esterne.

Paradiso (o Estasi). Questo è uno stato di gioia intensa derivante ad esempio dalla realizzazione di un desiderio, da una sensazione di benessere fisico, o da una intima soddisfazione. Anche se intensa, la gioia sperimentata in questo stato ha vita breve ed è anche vulnerabile alle influenze esterne.

I sei stati che vanno dall’Inferno al Paradiso sono definiti i sei sentieri o i sei mondi inferiori. Hanno in comune il fatto che la loro comparsa o scomparsa è legata alle circostanze esterne. Prendiamo il caso di un uomo ossessionato dal desiderio di trovare qualcuno che lo ami (Avidità). Quando alla fine incontra davvero questa persona, si sente in estasi e realizzato (Paradiso). Con il passare del tempo, compaiono sulla scena dei rivali e lui è attanagliato dalla gelosia (Collera). Alla fine il suo senso del possesso allontana da lui la persona amata. Distrutto dalla disperazione (Inferno), sente che la vita ha perso ogni valore. In questo caso, per qualche tempo si passa da uno all’altro di questi sei sentieri senza neanche rendersi conto di essere dominati dalle proprie reazioni all’ambiente. Qualunque felicità o soddisfazione ottenuta in questi stati dipende totalmente dalle circostanze ed è quindi effimera e soggetta al mutamento.

In questi sei mondi inferiori, noi basiamo la nostra intera felicità, e quindi la nostra stessa identità, su elementi esterni.
I due stati successivi, Studio e Illuminazione Parziale, emergono quando ci rendiamo conto che tutto ciò che sperimentiamo nei sei sentieri è fugace, e iniziamo a cercare una verità duratura. Questi due stati, più i due successivi, Bodhisattva e Buddità, complessivamente vengono definiti i quattro mondi nobili. A differenza dei sei sentieri, che sono reazioni passive all’ambiente, questi quattro stati più elevati vengono ottenuti attraverso uno sforzo intenzionale.

Studio. In questo stato, cerchiamo la verità attraverso gli insegnamenti o le esperienze degli altri.

Illuminazione Parziale o Realizzazione. Questo stato è simile allo Studio, tranne per il fatto che cerchiamo la verità non attraverso gli insegnamenti di altri, ma attraverso la nostra stessa percezione diretta del mondo.
Studio e Illuminazione Parziale sono chiamati i “due veicoli”. Avendo compreso la fugacità delle cose, le persone in questi stati hanno conquistato un livello di indipendenza e non sono più prigionieri delle proprie reazioni, come invece nei sei sentieri. Spesso, però, tendono a sentirsi superiori alle persone legate ai sei sentieri che non hanno ancora raggiunto questo livello di comprensione. In più, la loro ricerca della verità è principalmente orientata verso se stessi, quindi c’è un grande potenziale di egoismo in questi due stati, e le persone possono raggiungere una soddisfazione con i loro progressi senza scoprire il potenziale più alto della vita umana nel nono e decimo mondo.

Bodhisattva. I Bodhisattva sono coloro che aspirano a ottenere l’illuminazione e nello stesso tempo sono altrettanto determinate a mettere tutti gli altri esseri in grado di fare la stessa cosa. Consapevoli dei legami che ci uniscono a tutti gli altri, in questo stato ci rendiamo conto che qualunque felicità proviamo da soli è incompleta, e ci dedichiamo ad alleviare le sofferenze degli altri. Chi si trova in questo stato trova la maggiore soddisfazione in un comportamento altruistico.
Gli stati dall’Inferno al Bodhisattva sono complessivamente chiamati “i nove mondi”. Questa espressione viene spesso usata in contrapposizione al decimo mondo, lo stato illuminato di Buddità.

Buddità. La Buddità è uno stato dinamico difficile da descrivere. Possiamo parzialmente descriverlo come uno stato di libertà perfetta, in cui siamo illuminati alla verità ultima della vita. È caratterizzato da una compassione infinita e da una saggezza sconfinata. In questo stato, possiamo trasformare armoniosamente ciò che dal punto di vista dei nove mondi appare come una contraddizione insolubile. Un sutra buddista descrive gli attributi della vita del Budda: un vero io, una libertà perfetta dai legami karmici per tutta l’eternità, una vita purificata dall’illusione, e una felicità assoluta. Inoltre, la condizione di Buddità viene fisicamente espresso nella Via del Bodhisattva o azioni di un Bodhisattva.


Cos'è il mutuo possesso dei dieci mondi?

I dieci mondi originariamente erano immaginati come regni fisicamente distinti, in cui gli esseri umani nascevano a seconda del risultato derivante dal karma accumulato. Ad esempio, gli esseri umani nascevano nel mondo dell’Umanità, gli animali nel mondo dell’Animalità e gli dei nel mondo del Paradiso. Nel Buddismo di Nichiren Daishonin, i dieci mondi sono invece considerati condizioni vitali che tutte le persone potenzialmente possono sperimentare. In qualunque momento, uno dei dieci mondi si manifesterà e gli altri nove saranno latenti, ma costante rimane la potenziale possibilità di un cambiamento.

Questo principio viene espresso anche come mutuo possesso dei dieci mondi, secondo cui ognuno dei dieci mondi possiede in sé tutti gli altri. Ad esempio, una persona che si trova nella condizione di Inferno può, un attimo dopo, rimanere all’Inferno oppure manifestare uno qualunque degli altri stati. L’implicazione fondamentale di questo principio è che tutte le persone, in qualunque condizione vitale si trovino, hanno il costante potenziale di manifestare la Buddità. E' altrettanto importante il fatto che la Buddità si trova nella realtà delle nostre vite negli altri nove mondi, non in qualche luogo a sé stante.

Nel corso della giornata, sperimentiamo diversi stati di momento in momento, secondo la nostra interazione con l’ambiente. La vista della sofferenza altrui può richiamare il mondo compassionevole del Bodhisattva, e la perdita di una persona cara può ricacciarci nell’Inferno. Ad ogni modo, tutti noi abbiamo uno o più mondi intorno ai quali di solito ruotano le nostre attività e alle quali tendiamo a tornare quando gli stimoli esterni si placano. Si tratta della tendenza vitale di base di ognuno, e ognuno l’ha stabilita attraverso le proprie azioni precedenti. Le vite di alcuni ruotano intorno ai tre sentieri cattivi, alcuni oscillano nei sei mondi inferiori, e altri sono principalmente motivati dal desiderio di cercare la verità che caratterizza i due veicoli. Lo scopo della pratica buddista è quello di elevare la tendenza vitale di base e alla fine stabilire la Buddità come condizione di base di ognuno.

Stabilizzare la Buddità come nostra condizione di base non significa liberarsi degli altri nove mondi. Tutti questi stati sono aspetti integranti e necessari della vita. Senza sperimentare le sofferenze dell’Inferno, non potremmo mai provare una sincera compassione per gli altri. Senza i desideri istintivi rappresentati da Avidità e Animalità, dimenticheremmo di mangiare, dormire e riprodurci, arrivando ben presto all’estinzione. Anche se realizziamo la Buddità come nostra tendenza vitale di base, continueremo a sperimentare le gioie e i dolori dei nove mondi. La differenza è che essi non ci domineranno, e noi non ci definiremo in funzione di essi. Basandoci sulla tendenza vitale della Buddità, i nostri nove mondi si armonizzeranno e agiranno a beneficio nostro e di chi ci circonda.

venerdì 9 luglio 2010

I bambini imparano ciò che vivono.

Se un bambino vive nella critica impara a condannare.

Se un bambino vive nell'ostilità impara ad aggredire.

Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido.

Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.

Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.

Se un bambino vive nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia.

Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.

Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.

Se un bambino vive nell'approvazione impara ad accettarsi.

Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo.

lunedì 21 giugno 2010


Citazioni preferite

"Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
chi ripete ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca o colore dei vestiti,
chi non rischia,
...chi non parla a chi non conosce.

Lentamente muore chi evita una passione,
chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle i
piuttosto che un insieme di emozioni;
emozioni che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbaglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti agli errori ed ai sentimenti!

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza,
chi rinuncia ad inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia e pace in sè stesso.

Lentamente muore chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare,
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga
maggiore
del semplice fatto di respirare!

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità."

..di Martha Medeiros erroneamente attribuita a Pablo Neruda

lunedì 29 marzo 2010

veleno in medicina

«Sii fermamente deciso a risvegliare il grande potere della fede e recita Nam-myoho-renge-kyo con la preghiera che la tua fede continui a essere ferma e corretta anche nel momento della morte; non cercare mai un modo diverso da questo per ereditare la Legge fondamentale di vita e morte. Questo è il significato di "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e di "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana". Anche abbracciare il Sutra del Loto sarebbe inutile senza l'eredità della fede. Ti spiegherò ancora dettagliatamente in un'altra occasione.
Con mio profondo rispetto,
Nichiren,
lo shramana1 del Giappone
L'undicesimo giorno del secondo mese del nono anno di Bun'ei (1272)
Segno ciclico mizunoe-saru.
Risposta all'Onorevole Sairen-bo».2

Il potere benefico della Legge mistica è incommensurabile. Continuando a praticare correttamente come insegna Nichiren possiamo conquistare il supremo stato della Buddità nell'attuale e irripetibile esistenza. Nella parte finale dell'Eredità della Legge fondamentale della vita il Daishonin spiega qual è la chiave della fede corretta per ereditare la Legge e ci esorta a condurre una vita straordinaria.
Soltanto la Soka Gakkai ha ereditato da Nichiren la Legge fondamentale di vita e morte, sostenendo e praticando correttamente il suo insegnamento e diffondendolo ampiamente in tutto il mondo in accordo con le sue istruzioni. Ecco perché il potere infinito della Legge mistica sgorga potentemente nella vita di ciascuno di noi che ci stiamo impegnando per kosen-rufu.
Quando facciamo emergere la grande gioia che scaturisce dalla consapevolezza di essere entità della Legge mistica, possiamo trasformare anche le sofferenze e i problemi più ostinati in saggezza, e usarli come fonte per la creazione di valore. Possediamo dentro di noi il potere fondamentale di superare qualunque circostanza avversa o situazione di stallo apparentemente insormontabile. Se crediamo con incrollabile certezza nel nostro potere innato di "trasformare il veleno in medicina"3 - il potere di trasformare qualunque avversità o sofferenza in un trampolino di lancio verso la felicità assoluta - non avremo nulla da temere.
La Legge mistica è il mezzo fondamentale per tirare fuori l'illimitato potere che possediamo dentro di noi. Questo potere ci consente di trasformare le illusioni e i desideri in saggezza, proprio come il fuoco brucia la legna per produrre la luce. Possiamo trasformare una vita segnata dalle sofferenze di nascita e morte in una vita pervasa da una gioia vibrante e illimitata, proprio come la luce del sole primaverile scioglie il ghiaccio e la neve per creare una fluida corrente d'acqua.
Trasformare se stessi: questo è l'oggetto principale del Buddismo. Il Buddismo di Nichiren è l'insegnamento per trasformare concretamente la nostra vita. Tutto parte da noi e dalla nostra rivoluzione umana. Questo costituisce il fondamento del Buddismo del Daishonin e delle attività della Soka Gakkai.
Nel passo conclusivo dell'Eredità della Legge fondamentale della vita il Daishonin sembra dirci: «Risvegliati all'infinito potere che possiedi!»; «Recita Daimoku con la ferma convinzione che puoi realizzare una vita meravigliosa, colma di grande soddisfazione!»; «Questo è di per sé la vera eredità». La conclusione della lettera chiarisce che «l'eredità della fede» è il solo mezzo attraverso cui possiamo accedere all'eredità del conseguimento della Buddità.
Nell'Eredità della Legge fondamentale della vita pulsa lo spirito fondamentale di mettere in grado tutte le persone di realizzare l'Illuminazione; è un'opera permeata dal grande e compassionevole desiderio del Daishonin di permettere a tutti gli esseri umani di condurre vite di suprema felicità.
Nel capitolo precedente abbiamo studiato il passo in cui il Daishonin dichiara che sta portando avanti la pratica del bodhisattva Pratiche Superiori, che ha ereditato la Legge di vita e morte e ha giurato di apparire nell'Ultimo giorno. Questo fatto testimonia chiaramente che la grande Legge non è stata stabilita da nessun altro se non da Nichiren, il maestro della causa originale.
Nel passo conclusivo Nichiren espone gli elementi essenziali della fede, necessari nell'Ultimo giorno per ereditare direttamente da lui la Legge per conseguire la Buddità: «il grande potere della fede», «una mente salda e corretta al momento della morte», «la consapevolezza che le illusioni e i desideri sono Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana» e «l'eredità della fede».4 In questo capitolo discuterò questi principi e come metterli in pratica.

La trasformazione interiore è il cuore dell'eredità della Legge

Innanzitutto il Daishonin dice: «Sii fermamente deciso a risvegliare il grande potere della fede», mettendo in evidenza che «il grande potere della fede» è la base fondamentale per accedere all'eredità della Legge. «Sii fermamente deciso» implica una determinazione e un impegno consapevole. Si potrebbe affermare che «il grande potere della fede» indica la capacità di tornare nuovamente a dedicarci e a raccogliere una fede rinnovata nel nostro cuore.
Successivamente il Daishonin spiega che cosa dobbiamo fare concretamente nella nostra pratica buddista: «Recita Nam-myoho-renge-kyo con la preghiera che la tua fede continui a essere ferma e corretta anche nel momento della morte».
Nei capitoli precedenti abbiamo discusso ampiamente l'importanza di avere un atteggiamento nella fede fermo e corretto al momento della morte (vedi in particolare la sesta puntata, Buddismo e società, n. 128, p. 65 e segg.). Concludere la propria vita con un senso di grande appagamento e serenità come risultato della nostra fede nella Legge mistica, senza essere turbati dall'impedimento della morte o delle altre funzioni demoniache, conduce al conseguimento di una condizione illimitata di felicità che durerà per tutta l'eternità.
Come abbiamo visto in precedenza, per avere una mente salda e corretta al momento della morte è cruciale impegnarci giorno dopo giorno, mese dopo mese con lo spirito che "adesso è l'ultimo momento della propria vita" - vivendo in modo tale da non avere rimpianti. Per ottenere questo stato della mente, il Daishonin ci insegna ad approfondire le nostre preghiere ogni giorno e a perseverare con la determinazione di praticare con tutto il cuore. Ci informa, inoltre, che non c'è altro modo di ereditare la Legge fondamentale di vita e morte se non praticando correttamente il Buddismo, raccogliendo «il grande potere della fede» e recitando Nam-myoho-renge-kyo per la felicità nostra e degli altri, fiduciosi che avremo una mente salda e corretta al momento della morte.
In questa parte conclusiva del Gosho, il Daishonin concentra l'attenzione su cosa dobbiamo fare per ottenere l'Illuminazione.
Il Buddismo della causa originale propagato dal Daishonin è l'insegnamento che permette alle persone vive e reali di realizzare la causalità per il conseguimento della Buddità. Le persone sono il fondamento e ogni persona è importante. Se non mettiamo in pratica lo spirito di dare valore a ogni individuo, qualunque discorso sull'eredità della Legge, per quanto elevato, non sarà altro che mera teoria.
Coloro che praticano il Buddismo del Daishonin devono avere la consapevolezza e la fiducia di poter cambiare la propria vita a un livello profondo. La ragione per cui Nichiren dice: «Non cercare mai un modo diverso da questo per ereditare la Legge fondamentale di vita e morte» è che l'eredità della Legge non esiste se non nella fede nel Buddismo della causa originale, che mette in grado ogni persona di trasformare se stessa dal profondo e conseguire la Buddità in questa vita, attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo.
In che modo possiamo trasformare veramente la nostra vita? Quale tipo di stato vitale possiamo ottenere attraverso la fede? Il Daishonin lo chiarisce: «Questo è il significato di "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e di "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana"». In altre parole, raccogliere il grande potere della fede e recitare Nam-myoho-renge-kyo con la preghiera che la nostra fede sia ferma e corretta al momento della morte significa di per sé che stiamo mettendo in pratica i principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana". Ottenere questo stato vitale è il vero beneficio del Buddismo del Daishonin.
Attraverso il potere di una fede forte e incrollabile e la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, possiamo trasformare le illusioni e le sofferenze in mezzi per sviluppare una saggezza creatrice di valore, e stabilire uno stato interiore di completa fiducia e gioia.
Lo stato della mente capace di percepire le illusioni e i desideri come Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte come Nirvana corrisponde al conseguimento della Buddità nella propria forma presente. Ed è anche il grande beneficio di "trasformare il veleno in medicina". Nel Buddismo della causa originale di Nichiren tutte le persone, attraverso il potere della fede, possono forgiare nella profondità della loro vita il grande e indistruttibile stato della Buddità.
Consideriamo il significato dei principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana". Entrambi i principi esprimono le funzioni trasformatrici della vita. "Le illusioni e i desideri sono Illuminazione" significa che la saggezza per conseguire la Buddità (o Illuminazione) si manifesta nella vita dominata dalle illusioni e dai desideri. "Le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" significa che lo stato di vera pace e tranquillità del Budda (o Nirvana) si manifesta nella vita di coloro che sono afflitti dalle sofferenze di nascita e morte.
Negli scritti del Daishonin si trovano pochi passi in cui uno di questi principi è menzionato senza che lo sia anche l'altro. Nella maggior parte dei casi, entrambi appaiono insieme per esprimere lo stato vitale o il beneficio del conseguimento della Buddità nella forma presente.5

La causalità dei "semi degli opposti" e la Legge mistica della "trasformazione del veleno in medicina"

Letteralmente "illusioni e desideri" e "Illuminazione" sono concetti diametralmente opposti. Lo stesso si può dire dei termini "le sofferenze di nascita e morte" e "Nirvana". Anzi, sono le illusioni e i desideri e le sofferenze di nascita e morte a essere simili.
Come è noto, il Budda Shakyamuni percepì che le illusioni e i desideri - cioè l'avidità, la collera e la stupidità - svolgono un ruolo causale nella creazione delle sofferenze di nascita e morte.
Una visione siffatta della causalità ebbe come risultato la diffusione del Buddismo hinayana, volto a sradicare le illusioni e i desideri per potersi liberare da queste sofferenze fondamentali. Tuttavia, questo modo di praticare il Buddismo ingenerò nelle persone il disprezzo verso le sofferenze di nascita e morte, dalle quali tentavano di fuggire a tutti i costi. Ciò accadde perché tale pratica era unicamente indirizzata a eliminare le illusioni e i desideri (il male), sulla base di un concetto parziale di causalità, secondo cui il male era l'unico risultato possibile del male. Sulla base di una tale visione della causalità, gli sforzi di sradicare completamente il male erano destinati a essere frustranti e, in definitiva, vani.
Sebbene le dottrine mahayana provvisorie insegnassero che "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana", la pratica effettiva di queste dottrine consisteva nell'aspirazione al conseguimento della Buddità attraverso l'accumulo infinito di buone cause - come dimostrato dall'idea di eseguire pratiche austere nel corso di molte vite - oppure affidandosi e dipendendo da un Budda assoluto e trascendente per ottenere la salvezza.
Ma in fin dei conti queste pratiche e dottrine mahayana inducevano le persone a detestare le sofferenze di nascita e morte e a cercare di sfuggire a questo mondo. Ciò accadeva perché tali pratiche e dottrine erano basate su un concetto parziale di causalità, secondo cui il bene può essere prodotto solo dal bene. Coloro che conducevano una pratica del bodhisattva in maniera autonoma potevano solo sperare di ottenere l'Illuminazione in un tempo inconcepibilmente lontano; coloro che si affidavano all'intervento di un Budda assoluto, come Amida, speravano di liberarsi dal mondo di saha e rinascere nelle "buone circostanze" della Pura terra, dove poter riprendere i loro sforzi per accumulare buone cause. In un caso e nell'altro non c'era nessuna garanzia di ottenere il frutto della pratica nell'esistenza presente. In definitiva questa seconda prospettiva causale era semplicemente il rovescio di quella secondo cui il male produce soltanto altro male.
Comunque sia, le persone la cui vita era incatenata alle illusioni, ai desideri e alle sofferenze di nascita e morte erano naturalmente incapaci di conquistare la vera gioia di liberarsi da quelle catene, e non esisteva per loro nessuna reale speranza o fiducia di conseguire l'Illuminazione.
Riguardo all'approccio erroneo degli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto nei confronti delle illusioni, dei desideri e delle sofferenze di nascita e morte e del loro rapporto con l'Illuminazione e il Nirvana, il Daishonin afferma: «Il cuore degli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto consiste nel fatto che una persona dovrebbe sradicare le illusioni e i desideri, disprezzare le sofferenze di nascita e morte e cercare l'Illuminazione e il Nirvana in qualche altro luogo. Lo spirito del Sutra del Loto è che le illusioni e i desideri sono Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana».6
Che cosa significa dunque considerare le illusioni e i desideri e le sofferenze di nascita e morte come inseparabili dall'Illuminazione e dal Nirvana? In uno scritto dal titolo Cosa significa ascoltare per la prima volta il veicolo del Budda,7 indirizzato al discepolo laico Toki Jonin, il Daishonin afferma che l'essenza delle persone comuni che praticano il Sutra del Loto consiste nel concetto dei "semi degli opposti".8 "Semi degli opposti" significa che ciò che è contrapposto (le illusioni e i desideri e le sofferenze di nascita e morte) all'effetto - o frutto del conseguimento della Buddità - diviene la causa, o seme, per il conseguimento della Buddità.
Ciò significa che i concetti parziali di causalità - la visione secondo cui il male è il solo possibile risultato del male e la visione secondo cui il bene è il solo possibile risultato del bene - sono inadatti per ottenere l'Illuminazione. In ultima analisi, una distinzione così netta tra bene e male induce le persone a perdere la speranza, rassegnandosi a vivere in mezzo al male.
Il fatto che ai tempi del Daishonin molte scuole buddiste si allontanassero dalla realtà piegandosi a un gretto elitarismo - con al vertice un piccolo gruppo di praticanti o preti - fu probabilmente dovuto all'incapacità di infondere speranza alla gente in quell'epoca malvagia e corrotta, proprio a causa di questa visione del bene e del male come elementi separati e distinti.
Probabilmente il Daishonin diede tanto risalto ai "semi degli opposti" perché si era reso conto che, per avere un'autentica speranza nella vita, era cruciale che le persone conoscessero una diversa visione della causalità, secondo cui il bene può emergere dal male - cioè la possibilità che qualcosa di negativo possa essere trasformato in qualcosa di positivo.
In Cosa significa ascoltare per la prima volta il veicolo del Budda il Daishonin spiega che questa casualità dei "semi degli opposti" equivale a "trasformare il veleno in medicina". Questo principio insegna che, proprio come un bravo medico è in grado di usare una sostanza tossica o il veleno come medicina, attraverso il potere della Legge mistica possiamo trasformare i tre sentieri delle illusioni e dei desideri, del karma e della sofferenza9 nelle tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell'emancipazione.10 Così le illusioni e i desideri diventano Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte diventano Nirvana.
Nello stesso scritto il Daishonin conclude che soltanto quando nutriamo una profonda fede nel fatto che i tre sentieri sono di per sé le tre virtù possiamo superare le sofferenze di nascita e morte; solo allora si può dire che abbiamo ascoltato il Sutra del Loto nel suo vero significato.11 In altri termini, quando crediamo nel profondo del cuore che le illusioni e i desideri sono Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana, la nascita e la morte non diventano più una fonte di sofferenza. Allora siamo veramente in grado di "ascoltare il Sutra del Loto".
Il principio dei "semi degli opposti" significa anche "aprire e fondere i semi degli opposti", ovvero unire cose che sono in opposizione fra loro e rivelarne il significato più profondo, comprendendole in un contesto più grande. Nel caso delle "illusioni e i desideri sono Illuminazione" e delle "sofferenze di nascita e morte sono Nirvana", "illusioni e desideri" e "sofferenze di nascita e morte", in opposizione a "Illuminazione" e "Nirvana", assumono un nuovo significato.
Proprio perché soffriamo possiamo recitare seriamente davanti al Gohonzon. La determinazione di affrontare le nostre sofferenze fa sì che il potere fondamentale insito nella nostra vita emerga in modo più vigoroso.
In quel momento le nostre sofferenze - cioè le nostre illusioni e i nostri desideri - sono già divenute cause per l'Illuminazione; si può addirittura affermare che le nostre illusioni e i desideri contengono in sé l'Illuminazione. In un certo senso, le illusioni e i desideri stessi sono soggetti a un cambiamento qualitativo: da "illusioni e desideri che causano sofferenza" diventano "illusioni e desideri che possono essere trasformati in Illuminazione". Ciò è possibile tramite il potere di Nam-myoho-renge-kyo, la Legge mistica della simultaneità di causa ed effetto.

Siamo Budda esattamente così come siamo

Non può esserci conseguimento della Buddità senza illusioni e desideri e senza sofferenze di nascita e morte. Conseguire la Buddità non significa diventare una sorta di essere sovrumano e trascendente. Questo è un punto che Josei Toda sottolineava continuamente. Una volta osservò: «"Le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" descrivono un tipo di vita in cui assaporiamo uno stato di felicità e una completa pace della mente, vivendo con le nostre illusioni e desideri così come sono. [...] L'Illuminazione non è niente di straordinario. Dato che abbiamo illusioni e desideri possiamo provare appagamento, e poiché ci sentiamo appagati, possiamo sperimentare la felicità. Svegliarsi ogni mattina con un senso di benessere fisico e con appetito, godere di ciò che facciamo ogni giorno e non sentirsi preoccupati o ansiosi per la vita: vivere in questo modo è Illuminazione. Non è nulla di eccezionale. Non dobbiamo dare una cattiva interpretazione del principio "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" pensando che diventeremo degli esseri assolutamente straordinari».12
Toda era un esempio nell'arte di essere se stessi così come si è. Esteriormente era una persona comune, sotto tutti gli aspetti, ma la sua mente era intensamente concentrata sullo sviluppo della Soka Gakkai. Il suo senso di responsabilità per kosen-rufu rispecchiava il suo maestoso stato di Illuminazione. Accarezzando il fervente desiderio di realizzare kosen-rufu Toda mostrò un impegno per questa causa tale da trascendere la vita e la morte, basandosi sul grande stato vitale che descriverei come "l'Illuminazione che si manifesta come senso di responsabilità".
Essere così come siamo significa perfezionare continuamente la nostra vita restando noi stessi. In altre parole, significa che compiere la nostra rivoluzione umana non è altro che mostrare la prova concreta del conseguimento della Buddità nella forma presente. I principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" trovano effettiva realizzazione nella nostra vita, nel bel mezzo della nostra sfida attraverso la fede.
Impegnarsi con lo spirito che "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" è una fonte di gioia. Non c'è gioia più grande che sviluppare la profonda consapevolezza che «le persone comuni sono identiche al più alto livello dell'essere»,13 e «si è Budda sia nella vita che nella morte».14
I nostri sforzi per conseguire la Buddità nella forma presente, e con ciò incarnare i principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana", sono sempre caratterizzati dalla gioia. Per esempio, quando facciamo fronte ai problemi e alle sofferenze direttamente, e raccogliamo la saggezza per trovare un modo di superarli, quasi senza accorgercene arriviamo ad assaporare uno stato di gioia immensa; le nostre vite traboccano di una potente forza vitale che ci consente di considerare ciò che ci è accaduto secondo una diversa prospettiva e affrontare tutto con facilità.
Lo stato vitale del Budda è per sua natura pervaso dalla gioia della Legge di essere giunti alla verità fondamentale. Avendo acquisito uno stato di immortalità, la vita del Budda fluisce eternamente, con la gioia di essere vivi. Manifestare la Buddità significa far emergere la gioia del Budda dalla profondità del nostro essere.
Se sosteniamo la Legge mistica e abbiamo coraggio, la forza vitale della Buddità, che ci permette di superare ogni tipo di difficoltà, sgorgherà da dentro. Se nutriamo un'invincibile speranza che brilla coraggiosamente anche di fronte ai più amari insuccessi, quella forza vitale non si esaurirà mai.
Attraverso il potere della Legge mistica arriviamo a comprendere che, nonostante i problemi e le difficoltà, possediamo la forza interiore di affrontarli e superarli. Dedicandoci al grande obbiettivo di kosen-rufu ci rendiamo conto che i nostri problemi e le nostre preoccupazioni possono servire da forza motrice per cambiare la nostra vita per il meglio e con ciò dimostrare la validità del Buddismo di Nichiren. Comprendiamo che il nostro rifiuto di essere sconfitti dalla sofferenza può diventare una fonte di ispirazione e coraggio per molti altri. Mantenendo uno spirito combattivo per kosen-rufu, possiamo arrivare a comprendere che siamo originariamente dei Budda.
Il Sutra del Loto parla di «cuori colmi di grande gioia».15 Nella Raccolta degli insegnamenti orali, l'espressione «grande gioia» è annotata con le parole «le illusioni e i desideri sono Illuminazione, le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana».16 Lo stato vitale del conseguimento della Buddità nella forma presente, la consapevolezza che le illusioni e i desideri sono Illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana sono di per sé la più grande di tutte le gioie.
La Raccolta degli insegnamenti orali continua: «Il brano si riferisce alla grande gioia che si sperimenta quando si comprende per la prima volta che la propria mente fin dal principio è stata il Budda. Nam-myoho-renge-kyo è la più grande di tutte le gioie».17
I principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" indicano che possiamo condurre vite appaganti in cui possiamo trovare gioia perfino nella sofferenza e nei dispiaceri.
Mi vengono in mente le parole di Tolstoj: «Gioisci! Gioisci! Il lavoro della propria vita, la propria missione è una gioia. Gioire per il cielo, per il sole, per le stelle, per le piante, gli alberi, gli animali e per i propri compagni. Sii sempre attento che nulla distrugga questa felicità. Se venisse distrutta, significa che in qualche modo hai fatto un errore. Trova quell'errore e correggilo».
Nelle parole del grande autore «il lavoro della propria vita, la propria missione è una gioia» certamente riecheggia la profonda filosofia del Buddismo. La nostra pratica buddista ci consente di sentire una tale gioia, profonda e duratura. Tolstoj dice che dovremmo trovare quell'errore che distrugge la felicità e agire per correggerlo. Dal punto di vista del Buddismo ciò corrisponde alla pratica di trasformare positivamente le illusioni e i desideri e le sofferenze di nascita e morte - cioè interiorizzare i principi secondo cui "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" e impegnarci per cambiare il nostro karma.
Noi della SGI che abbracciamo e pratichiamo la Legge mistica, sebbene possiamo sperimentare dei periodi di sofferenza o illusione, stiamo veramente percorrendo la via dei campioni di insuperata saggezza e filosofia. Attraverso la fede nel Buddismo di Nichiren possiamo trasformare positivamente il veleno attraverso la grande benefica medicina della Legge mistica.
Il Daishonin scrive: «Attraverso lo straordinario potere del carattere myo, o "mistico", questo veleno [delle illusioni e dei desideri e delle sofferenze di nascita e morte] si trasforma nella comprensione che le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana e le illusioni e i desideri sono Illuminazione».18
La Legge mistica è l'insegnamento per conseguire la vittoria assoluta nella vita. La validità del Buddismo di Nichiren, che consente a tutte le persone di accedere all'eredità della Legge fondamentale di vita e morte, è dimostrata dal numero sempre crescente di coloro che, basandosi sulla Legge mistica, stanno conducendo vite vittoriose, con la consapevolezza che "le illusioni e i desideri sono Illuminazione" e "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana".


Note

1) Shramana (sanscr.): colui che cerca la Via. In India, originariamente indicava gli asceti, gli eremiti, chi chiedeva l'elemosina o ogni altro praticante religioso che aveva abbandonato la via secolare e la propria casa per andare in cerca della verità. Più tardi il termine venne a indicare principalmente colui che rinuncia al mondo per praticare il Buddismo.
2) RSND, 1, 191; cfr. SND, 4, 225.
3) Trasformare il veleno in medicina: è il principio secondo cui le illusioni, i desideri e le sofferenze possono essere trasformati in beneficio e in Illuminazione grazie al potere della Legge. La frase appare in un passo del Trattato sulla grande perfezione della saggezza di Nagarjuna: «Un grande medico che può trasformare il veleno in medicina». Nella sua opera Il significato profondo del Sutra del Loto, T'ien-t'ai dice: «Il fatto che in questo sutra fu conferita la profezia dell'Illuminazione alle persone dei due veicoli significa che esso può trasformare il veleno in medicina». La frase «trasformare il veleno in medicina» è spesso citata per mostrare che qualunque sofferenza o problema possono essere trasformati nella più grande felicità e soddisfazione.
4) RSND, 1, 191; cfr. SND, 4, 226.
5) Ad esempio, il Daishonin dice: «Ma quando, attraverso il Sutra del Loto, meditiamo momento per momento sul significato della triplice contemplazione in una singola mente e sul principio dei tremila regni in un singolo istante di vita, ci rendiamo conto che noi stessi siamo il Tathagata dell'Illuminazione originale. Allora le nuvole dell'ignoranza si allontaneranno e la luna della natura essenziale dei fenomeni risplenderà. Ci risveglieremo dai sogni dell'illusione e potremo ammirare la piena luna dell'Illuminazione originale in tutto il suo splendore. Questa forma carnale ricevuta alla nascita dai nostri genitori, questo corpo legato alle illusioni e ai desideri, non è altro che il Tathagata che è sempre esistito e non si estinguerà mai. Questo è ciò che si chiama il conseguimento della Buddità nella forma presente, la profonda consapevolezza che le illusioni e i desideri sono Illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana» (WND, 2, 85). Scrive anche: «E quando il tuo defunto marito ha recitato Nam-myoho-renge-kyo sul letto di morte, le azioni malvagie di una singola esistenza e del passato senza inizio si sono trasformate nei semi della Buddità. Questo è ciò che si intende con gli insegnamenti chiamati "le illusioni e i desideri sono Illuminazione", "le sofferenze di nascita e morte sono Nirvana" e "il conseguimento della Buddità nella forma presente"» (WND, 2, 760).
6) GZ, 821. Da Oko Kikigaki (Le lezioni trascritte); non incluso nei WND.
7) In questo scritto il Daishonin afferma che ci sono due tipi di pratica del Sutra del Loto: "aprire e fondere i semi di specie simili" e "aprire e fondere i semi degli opposti". Indica che abbracciando il Sutra del Loto si possono cambiare i tre sentieri delle illusioni e dei desideri, del karma e della sofferenza nelle tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell'emancipazione, e si può conseguire la Buddità nella forma presente.
8) WND, 2, 741.
9) Tre sentieri delle illusioni e dei desideri, del karma e della sofferenza: sono chiamati sentieri perché l'uno conduce all'altro. Le illusioni e i desideri, che includono avidità, collera, stupidità, arroganza e dubbio, danno origine ad azioni che creano cattivo karma. L'effetto di questo cattivo karma si manifesta come sofferenza. La sofferenza aggrava le illusioni e i desideri, conducendo a ulteriori azioni sbagliate, che a loro volta producono altro cattivo karma e sofferenza.
10) Le tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell'emancipazione: i tre attributi di un Budda. Il corpo del Dharma indica la verità che il Budda ha compreso, o il vero aspetto di tutti i fenomeni; la saggezza è la capacità di percepire questa verità; l'emancipazione significa lo stato dell'essere che è libero dalle sofferenze di nascita e morte.
11) Il Daishonin scrive: «Domanda: quali benefici otteniamo ascoltando questa dottrina [secondo cui i tre sentieri sono di per sé le tre virtù]? Risposta: Questo è ciò che significa udire il Sutra del Loto per la prima volta. Miao-lo afferma: "Se una persona ha fede nell'insegnamento secondo cui i tre sentieri delle illusioni e dei desideri, del karma e della sofferenza non sono altro che le tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell'emancipazione, allora egli sarà in grado di attraversare i due fiumi della trasmigrazione e avanzare nel triplice mondo. E quando le persone comuni nell'Ultimo giorno della Legge udranno questa dottrina, non solo conseguiranno la Buddità, ma anche i loro padri e le loro madri conseguiranno la Buddità nella loro forma presente» (WND, 2, 744).
12) Toda Josei Zenshu (Opere complete di Josei Toda), vol. 2, p. 162.
13) Raccolta degli insegnamenti orali, Buddismo e società, n. 110, p. 49.
14) L'inferno è la Terra della Luce tranquilla, RSND, 1, 403; cfr. SND, 5, 195.
15) SDL, 152.
16) Raccolta degli insegnamenti orali, Buddismo e società, n. 124, p. 54.
17) Ibidem.
18) WND, 2, 585-86.

lunedì 22 marzo 2010

felicità


Colloqui con il direttore generale Tamotsu Nakajima:
Le basi della fede buddista e l’attività nella Soka Gakkai - prima parte
Per vivere bene
Prende il via una serie di interviste con Tamotsu Nakajima, direttore generale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, che verranno pubblicate sul primo numero di ogni mese.

Redazione: In questa nuova fase dello sviluppo del movimento buddista in Italia, si sente l’esigenza di approfondire la fede, l’attività, la relazione con il nostro maestro. Cominciamo dalla fede: la Soka Gakkai è nata per realizzare il desiderio del Budda originale Nichiren Daishonin. Qual è il desiderio più grande del Daishonin?

Nakajima: Il suo desiderio è che tutte le persone siano felici, nessuna esclusa. Tutti hanno il diritto di essere felici. Dico proprio diritto. Ognuno ha dentro di sé la Buddità e può manifestarla attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon.

Redazione: Quando dici felicità a cosa ti riferisci?

Nakajima: Dal punto di vista del Buddismo la felicità equivale all’Illuminazione: l’eterna felicità assoluta che ci fa comprendere profondamente la vita e la “missione” della vita.

Redazione: Cosa intendi con il termine “missione”?

Nakajima: Comprendere con la vita come si riesce a vivere bene, liberi da qualsiasi influenza del karma.

Redazione: Ma qual è il significato esatto del termine giapponese che indica “missione”?

Nakajima: In giapponese si dice shimei: shi vuol dire “usare” e mei “vita”. È uguale al significato italiano?

Redazione: In italiano non ha un significato così profondo e preciso, è più generico: missione viene dal latino mittere, che vuol dire “mandare”, solo al quarto significato leggiamo sul vocabolario: “attività svolta con piena dedizione verso gli altri”.

Nakajima: Capisco. Ognuno può usare la vita per vari scopi, ma dal punto di vista del Buddismo del Daishonin si usa la vita per far ottenere a tutti, indistintamente, la Buddità.

Redazione: Quindi il desiderio del Budda è che tutti gli esseri viventi raggiungano la Buddità. Quando dici esseri viventi a chi ti riferisci?

Nakajima: Si intendono gli esseri senzienti, ma anche all’interno della categoria degli esseri senzienti, gli “esseri” umani sono diversi dagli “esseri” animali. Gli umani possono agire direttamente per ottenere la Buddità, gli animali, ma anche le piante e le pietre, la ottengono in conseguenza degli esseri umani.

Redazione: Come definiresti un praticante buddista?

Nakajima: Il buddista, attraverso la sua pratica costante, cerca di realizzare in questa vita la felicità assoluta cerca di comprendere il senso della vita stessa. Ciò significa vivere ogni istante con la gioia che viene da dentro di noi, senza dipendere dalle situazioni esterne. Quindi il buddista “cerca” di realizzare questa condizione vitale: è sempre in cammino “per” realizzare questo stato vitale. La Buddità non è una condizione fissa: un momento dopo che l’hai ottenuta scompare: non dobbiamo pensare “adesso ho ottenuto la Buddità, posso star tranquillo, non scomparirà più”. Perciò è importante come noi riusciamo a vivere bene di attimo in attimo: insomma lo sforzo continuo in questa direzione ci qualifica come buddisti. Dobbiamo recitare Daimoku fino all’ultimo istante di vita.

Redazione: È dunque un processo che non si ferma mai. In questo cammino, in questa lotta, anche l’ambiente che sta intorno a un praticante ha degli effetti positivi?

Nakajima: Senz’altro l’atteggiamento di usare in continuazione la vita nel senso che dicevo prima comporta un effetto molto positivo nel nostro ambiente. Una volta che si è conosciuto il Buddismo è assolutamente necessario metterlo in pratica: la conoscenza da sola non serve a nulla.
È fondamentale applicare l’insegnamento del Daishonin nella vita quotidiana. Anche una singola frase. Non è importante sapere tante cose. Sapere è conoscenza, mettere in pratica è saggezza. La vita è in continuo cambiamento, quindi anche la saggezza va tirata fuori e applicata di momento in momento.

Redazione: Se noi volessimo approfondire nel Gosho il desiderio del Budda originale, quale scritto del Daishonin ci consiglieresti? Nella tua esperienza attraverso quale Gosho hai maturato la consapevolezza di questo desiderio?

Nakajima: Cercavo di leggere i Gosho che erano utili per la mia vita. Essendo per natura pigro e arrogante mi sono stati utili i Gosho che insegnano l’intensità con la quale in ogni attimo bisogna impegnarsi nella vita. Mi piacciono moltissimo gli scritti di Nichiren Daishonin e uno in particolare, Risposta a Ueno, in cui egli parla del desiderio di ottenere la Buddità e dell’atteggiamento nella fede: come un affamato che desidera il cibo, un assetato acqua, un malato la medicina per guarire, o un innamorato la persona che ama. Bisogna praticare il Buddismo con questa intensità, con questo desiderio, altrimenti – scrive Daishonin – ti pentirai. Mia madre, per insegnarmi l’altruismo, mi diceva: «Quando sei sull’autobus, se fossi con me cercheresti un posto per farmi sedere? Sì? Allora pensa che tutte le donne che incontri sull’autobus hanno un figlio: trattale come se fossero tua madre». Io avevo bisogno di questi insegnamenti pratici. Li ho cercati anche nel Buddismo: Nichiren dice che, essendo la nostra vita eterna, tutte le donne sono state nostra madre e tutti gli uomini nostro padre, per cui dobbiamo rispettare tutti. Questo tipo di esempio del Gosho mi ha insegnato ad aver rispetto per ogni persona.

Redazione: Dunque tu leggevi, e leggi, il Gosho e cerchi di metterlo in pratica. Lo leggi alla lettera o cerchi di interpretarlo?

Nakajima: Non ho mai fatto interpretazioni del Gosho, fin da giovane. I giapponesi normalmente non fanno interpretazioni. Tornando alla domanda sul desiderio del Budda originale, rimasi impressionato dal Rissho ankoku ron: è troppo bello. È scritto con un linguaggio poetico dal suono bellissimo. Comunque in generale cerco di capire quanto è bella la vita: proprio all’inizio di Lettera a Niike Nichiren esprime questa gioia: «Come siamo fortunati noi che siamo nati nell’Ultimo giorno della Legge al tempo di kosen-rufu! Che pena mi fanno quelli che, pur essendo nati in questo periodo, non possono credere nel Sutra del Loto». Un tempo questa per me era una semplice frase, oppure pensavo «Nichiren dice così…», ma ora sento veramente il senso della grande occasione che noi abbiamo: stiamo realizzando kosen-rufu. Nella storia degli esseri umani non si è mai riusciti a realizzare la felicità per tutti, molti hanno tentato, ma non sono riusciti fino in fondo. Forse abbiamo ricevuto troppo facilmente questo insegnamento e per questo non si riesce a comprenderne lo straordinario valore.

Redazione: Quindi tu puoi dire tranquillamente, oggi, dopo aver praticato per tanto tempo, di esser felice per esser nato nell’epoca di mappo?

Nakajima: Se mi fermo e ragiono senz’altro sono contento, ma sono un comune mortale e la vita è in continuo movimento. Se per esempio sono nel traffico e arrivo in ritardo in ufficio, questo mi dà fastidio. Quindi non posso dire che in ogni istante sono contento, ma di fondo sì. Sono contentissimo di praticare e di vivere nella stessa epoca del presidente Ikeda.

Redazione: Qual è il legame della Soka Gakkai con Nichiren Daishonin?

Nakajima: Il patriarca Nichijun, a proposito della Soka Gakkai, diceva: “gruppo fushigi”: shi vuol dire “pensiero” gi “ragionamento” fu è una negazione. Vuol dire una cosa impossibile da spiegare con la ragione, quindi un legame “mistico”. Voleva dire che il cuore di Nichiren rinasce in questo gruppo della Soka Gakkai, il quale rivalorizza, mette in pratica il Buddismo di Nichiren. Il presidente Ikeda ha riferito e usa spesso questa interpretazione di Nichijun.

Redazione: Quindi i membri della Soka Gakkai sono Bodhisattva della Terra.

Nakajima: Senz’altro.

Redazione: Di questo parleremo nella prossima puntata. Grazie.

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martedì 16 febbraio 2010

felicità

La felicità consiste nel provare quello che c'è di bello nella vita. Si tratta di un’abilità individuale, e non di un’eventualità del destino: tutti possono essere felici se imparano a capire come si fa ad esserlo. Infatti, per vivere una vita felice è necessario essere capaci di godere di ciò che già si ha. La felicità non va ricercata nel futuro, ma nel presente, perché non dobbiamo dimenticare che il nostro attuale presente è il futuro che immaginavamo per noi qualche tempo fa. Molti dei nostri desideri sono stati realizzati, ambiziosi traguardi sono stati raggiunti…Ma siamo forse per questo ‘Felici’ ora? La risposta, sono sicura, è ‘no’, o meglio ‘ancora no’. Ognuno di noi ha qualcosa che ancora gli manca per essere felice: il matrimonio, un lavoro, la carriera, la casa, la laurea, la vacanza…L’evasione dal presente, l’incapacità di prendere decisioni, la tendenza alla procastinazione determinano l’idealizzazione del proprio futuro, che intanto diventa il presente e la storia continua. La felicità, sempre rimandata all’indomani, continua a sfuggire alla nostra esistenza, nell’illusione che qualche forza magica, soprannaturale o anche proveniente da qualche misteriosa area del proprio sé possa finalmente risvegliarsi e risolvere per incanto tutti i problemi. A volte l’infelicità deriva dalla sensazione di non avere o non avere abbastanza, di ciò che è necessario per vivere bene. Molto spesso si tratta di bisogni indotti dall'ambiente sociale ed in particolare da quei ‘persuasori occulti’ che, con logiche sottili ed ingannevoli, cercano di condizionarci nelle scelte e soprattutto nei consumi.

La verità è che, se vogliamo essere felici, possiamo esserlo immediatamente, perché la felicità non è nel futuro, ma nel momento presente: non conta quanto abbiamo, ma quanto riusciamo a godere di quello che possediamo.

E’ inutile trascorrere la vita inseguendo il successo, la fama, i soldi e il potere: mentre lottiamo e competiamo per raggiungere tutto ciò, ci allontaniamo inevitabilmente dai nostri valori e ci rendiamo schiavi di un sistema che da noi vuole sempre di più e sempre di meglio. Solo concentrandoci sul processo anziché sul risultato, allontanandoci dalla competizione e dalle illusioni condizionanti coniate ad arte dagli strateghi della comunicazione, potremo ritrovare la gioia nelle piccole cose della vita quotidiana e ritornare ad impostare la vita secondo i nostri valori.

Infine un’ultima considerazione: solo l’essere umano comprende il senso della morte, perché è nel pacchetto delle sue conoscenze, sin da quando era bambino. La consapevolezza della propria sicura fine lo spaventa e per dimenticare questa paura tenta di esorcizzarla tentando di non pensarci. E’ un comportamento infantile, un meccanismo di difesa basato sulla negazione. La morte esiste e dunque tanto vale tenerne conto. Se la vita deve essere breve, facciamo almeno che sia lieta e lasciamo i tormenti, le angosce, le competizioni, gli accumuli, a quelli che pensano di non dover morire mai.

lunedì 8 febbraio 2010

che cos è il Gohonzon e a cosa serve

Il Gohonzon (in giapponese go indica un titolo onorifico e honzon, oggetto di culto) è una pergamena di carta di riso scritta in caratteri cinesi e sanscrito. Il Gohonzon è l'oggetto di culto lasciato da Nichiren Daishonin: è una copia fedele del Dai-Gohonzon (dai significa grande) iscritto da Nichiren su una tavola di legno e conservato tutt'oggi in Giappone. Il Gohonzon non rappresenta alcuna divinità: è la rappresentazione di ogni elemento della vita degli esseri viventi e insieme dell'universo, indissolubilmente integrati e in costante e profonda relazione. Si prega davanti a esso per elevare la propria condizione vitale e manifestare la Buddità (o Illuminazione).
Si può ricevere un Gohonzon? Dove può essere custodito?
Chi ha deciso di seguire seriamente la strada indicata da Nichiren, può fare richiesta di ricevere il Gohonzon. In Giappone viene conservata una matrice, dalla quale vengono eseguite le riproduzioni. Nelle case private il Gohonzon viene custodito in un mobiletto (butsudan) che deve essere solido, stabile e dignitoso, e collocato nel posto migliore possibile, compatibilmente con la disposizione della casa e con le esigenze di chi ci abita. Il rispetto che si ha verso il Gohonzon equivale a quello che si ha nei confronti della propria vita, per cui è importante prendersi cura dell'altare buddista.

Perché il Gohonzon viene spesso definito come lo specchio della propria vita?
Per usare un'analogia, non riusciremo a vedere il nostro volto e osservare il nostro aspetto senza l'ausilio di uno specchio. Allo stesso modo, essendo comuni mortali dalla saggezza limitata, possiamo scorgere la nostra natura di Budda solo quando ci riflettiamo nello specchio del Gohonzon. Considerare il Gohonzon una sorgente di potere esterna a cui implorare aiuto, impedirà di scoprire il tesoro della Buddità che si cela in ogni persona.

Cosa c'è scritto nel Gohonzon?
È molto complesso descrivere tutto quello che è iscritto nel Gohonzon. Al centro del Gohonzon, scritto in caratteri più grandi, c'è Nam-myoho-renge-kyo-Nichiren. Il fatto che Nichiren abbia iscritto il proprio nome non sta a significare che oggi noi veneriamo la persona Nichiren, ma il fatto che, lodando e invocando la Legge, ciascuno può realizzare la fusione di persona e Legge, armonizzando la propria vita con l'universo. Attorno alla scritta centrale vi sono le condizioni vitali (o dieci mondi), scritte che ricordano i demoni e le funzioni negative, al lato sinistro la scritta "per il presente" e al lato destro la scritta "per il futuro". Cosa significa tutto ciò? Che recitando Nam-myoho-renge-kyo e agendo in sintonia con la Legge dell'universo, le condizioni vitali e le funzioni negative non vengono annullate, ma entrano in relazione con la Buddità.

C'è un punto del Gohonzon sul quale dovremmo concentrarci?
Non c'è un punto preciso dove concentrarsi, si può guardare il punto che viene più naturale. Ci si può concentrare sulla parte centrale, dove ci sono gli ideogrammi di Nam-myoho-renge-kyo, oppure sull'intero oggetto di culto. Gli occhi è bene che siano aperti e rivolti verso il Gohonzon. In definitiva ciò che conta davvero è la serietà e la sincerità della preghiera.

Sono necessarie le offerte dell'acqua, delle candele, delle piante verdi e dell'incenso?
Nichiren Daishonin scrive in una lettera: «Recitare il sutra o semplicemente offrire fiori e incenso, sono tutte azioni virtuose che apportano benefici alla tua vita» (SND, 4, 5). Quello che è fondamentale nella pratica buddista è la recitazione del Daimoku e di Gongyo, ma offrire con sincerità acqua, piante verdi, incenso e candele dimostrano l'apprezzamento che manifestiamo verso la nostra vita e di conseguenza anche i benefici che ne trarremo saranno maggiori. Ma ciò non significa che se una persona non offre candele o piante verdi non otterrà benefici. Se in casa ci sono dei bambini o se candele e incenso possono rappresentare un problema, cercate una soluzione con buon senso. Il punto fondamentale è nutrire nel proprio cuore il desiderio di avere cura del Gohonzon, tenendo pulito l'ambiente in cui esso è ospitato.